Il fatto è… Riflessioni di una maestra-paperetta

Caparbietà e coraggio, fantasia e creatività per guidare (guai a dire assistere) i bambini di oggi. Da Gek Tessaro una storia d’ispirazione, per bambini e non solo.

Gek Tessaro, autore famoso soprattutto per l’ironia che sapientemente inserisce nei suoi albi illustrati , ha pubblicato decine di libri per bambini, tra questi anche Il fatto è. Per chi non lo conoscesse, il volumetto parla di una paperetta decisa a non voler fare il bagno nonostante l’opera di convincimento di tutti gli animali che cercano, invano, di spingerla in acqua. Alla fine, dopo varie peripezie, deciderà, con i suoi tempi e sulla base di sue valutazioni personali di tuffarsi nello stagno.

Il fatto è restituisce l’importanza dell’ostinazione che a volte è fondamentale per la propria autoaffermazione e ci fa capire quanto valga la pena insistere per difendere i propri principi. 


Il fatto è che spesso, facendo questo mestiere, corriamo il rischio, per abitudine o per fretta, di dimenticare l’origine della parola “maestra” (e quindi la sua funzione più alta). Il termine, e per esteso il ruolo della maestra, hanno una valenza sociale che oggi più che mai dovremmo recuperare. L’etimo è latino: “magister” (capo, comandante), in contrapposizione a ministro, da “minister” (servitore, aiutante). La maestra è una guida, una leader dei bambini. E, soprattutto, è un difensore dei loro diritti e dei loro talenti (non è solo un loro aiutante).

Il fatto è
che fare la maestra d’Infanzia, oggi, vuol dire avere a che fare con quelli che saranno i cittadini di domani, curarsi del loro benessere mentale nell’era degli smartphone, dei mille risvolti multiculturali in una società fatta di guerre, sbarchi, gommoni e pagelle bagnate in tasca; del disagio socioeconomico che pandemia, alluvioni, terremoti e inflazione hanno inevitabilmente comportato alle famiglie e, di conseguenza, ai bambini, vittime inconsapevoli di tutto ciò. 

Il fatto è che per avere a che fare con tutto questo è diventato fondamentale formarsi senza fermarsi, andare costantemente alla ricerca di quella formazione che farà la differenza per te insegnante ma anche per i bimbi e, di riflesso, per le famiglie.

Il fatto è che la scuola “materna” (nome peraltro che ben ricalca gli stereotipi patriarcali di cui è intriso il nostro Paese) che intratteneva i bambini senza seguire un programma pedagogico, ma che alternava i lavoretti delle varie feste in calendario alle canzoncine in cerchio, non esiste più. O perlomeno non dovrebbe più esistere.

Il fatto è che chi la chiama, oggi, Scuola dell’Infanzia, in modo consapevole, sa bene quello che che questo implicaa o dovrebbe implicare.

Facciamo degli esempi:

Illustrazione da Il fatto è, di Gek Tessaro (Edizioni Lapis)


Vuol dire riuscire a fare coding a partire dalla mappa del proprio quartiere fino ad arrivare a programmare un piccolo robot che canta e balla per te;

Vuol dire fare tinkering, quindi armeggiare con lampadine a led e pezzi di cartone per costruire quello che la mente e le mani ti portano a costruire;

Vuol dire fare outdoor learning insegnando ai bambini che l’architettura di un nido di vespe vasaie è uguale a quella delle case sostenibili di ultima generazione.

Vuol dire inserire della propria sezione le scritte in Comunicazione Aumentativa e AlternativaCAA per utilizzare un linguaggio inclusivo e sviluppare canali di comunicazione alternativi rispetto a quello orale (per includere tutti, anche chi ha difficoltà di apprendimento);

Vuol dire avere una costante attenzione all’intelligenza emotiva dei bambini e al loro modo di vivere le emozioni per aiutarli a parlarne e a tirarle fuori senza giudicarle;

Vuol dire pensare a progetti di educazione civica che rispecchino appieno l’anno scolastico in questione.

Vuol dire trovare il modo personalizzato, e ogni anno diverso, di raccontare ai bambini cos’è la giornata della memoria, cosa sono i diritti dei bambini, cos’ è la famiglia e perché si festeggia quello che si festeggia. Vuol dire leggere leggere leggere e leggere ancora. 

Il fatto è che per fare tutto questo nonostante le persone ti guardino con sorrisi pieni di compassione ogni volta che dici di fare la maestra d’infanzia, cioè con un’espressione da “Ah fai la maestra d’asilo?” ci vuole ancora molta ostinazione, autodeterminazione, e tenacia… 

Proprio come quella paperetta. 

A tuttə lə maestrə un po’ paperette, che continuano a rispettare il loro ruolo con tenacia e costanza. Che possiate lavorare in un ambiente in cui impiegare appieno tutta la vostra professionalità!